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Library: Trauma e Dissociazione

Le Parti
di Antonio Sammartino    08/06/2018

Le PARTI non sono personalità differenti, ma stati separati della mente, funzioni della personalità che si organizzano a seguito di traumi. Sono fondamentali per comprendere la dissociazione.

Secondo Siegel, quando le sensazioni e le immagini relative a un’esperienza sono esclusivamente implicite, nel cervello regna una confusione neuronale, che impedisce la classificazione degli eventi come rappresentazioni del passato. Queste memorie implicite continuano a modellare le sensazioni soggettive della realtà della persona nel momento presente, anche se questa influenza non è accessibile alla consapevolezza. 

Il benessere di una persona è possibile quando il cervello risulta integrato e l’integrazione implica il collegamento delle PARTI, mentre l’assenza d’integrazione produce sintomi che potrebbero tradursi in disturbi mentali. Il deficit d’integrazione è quindi all’origine della psicopatologia, per cui per favorire il cambiamento verso uno stato di maggior benessere è opportuno aumentare l’integrazione tra le PARTI. 
Alcune tra le esperienze che possono promuovere l’integrazione sono l’Attaccamento Sicuro Guadagnato e la Mindfulness (cioè, bisogna tenere a mente di portare l’attenzione non-giudicante al momento presente), quest’ultima quindi si focalizza sul momento presente e nel guidare l’attenzione, aumenta anche la consapevolezza. Infatti, essere in grado di acquisire uno SPAZIO DI RESPIRO significa utilizzare il tempo per diventare consapevoli di un particolare pensiero o sentimento, osservando semplicemente quello che accade, evitando così di sfuggire alla sofferenza al fine di riconoscerla, accettarla ed esplorarla per quella che è. Infatti, una persona può essere fisicamente qui, ma essere inconsapevolmente con la mente altrove, cioè alienarsi dal corpo. A volte ciò è sufficiente per far evaporare quei pensieri ed emozioni oppure di affrontarli, al fine di evitare alla persona di essere catturata da pensieri ed emozioni intense, intrusive e seduttive. 
Per attenzione non-giudicante s’intende rinunciare ad applicare etichette e giudizi all'oggetto della propria attenzione. Questa tecnica è importante perché la persona traumatizzata è bloccata nel passato oppure è spaventata da anticipazioni catastrofiche del futuro. Essere in grado di ritornare al momento presente è un modo semplice ed efficace per uscire dal coinvolgimento del passato o del futuro.
Apprendere a riconoscere la propria esperienza mentale è importante, perché chi soffre di un problema psicologico (per esempio, ansia, depressione, ecc.) tende a confondere la propria esperienza interiore con la realtà. Un altro aspetto importante è il PERDERSI NEI PENSIERI, cioè la persona non vede più i pensieri, ma osserva il mondo attraverso questi pensieri, per cui smarrisce la consapevolezza del momento presente. Ciò che è importante non è tentare di controllare i pensieri o di sopprimerli, il cui effetto inevitabilmente sarà di rinforzarli, ma l’atteggiamento della persona assume rispetto a essi. Infatti, per loro natura i pensieri si manifestano e poi si dissolvono, la loro perduranza è causata dalla persona, quindi è inutile tentare di spiegarli, ma occorre modificarli per poterli controllare. 
La dissociazione si riferisce a stati separati del Sé, perché non esiste un Io, ma diversi stati separati del Sé, che non sono in conflitto con la coscienza e non sono una barriera tra inconscio/conscio, ma una disconnessione tra i diversi sistemi neuronali, come forma di protezione dagli eventi traumatici. In altri termini, la dissociazione crea una disconnessione nel pensiero, nella memoria e nel senso d’identità di una persona, che gli impedisce di integrare causa-effetto fra trauma e dissociazione. In generale molte esperienze sono potenzialmente traumatiche, perché dipendono dal significato che il cervello gli attribuisce attraverso i pensieri della persona, dal tipo e dalla gravità dell’esperienza. In altri termini, vi sono esperienze disturbanti che non sono particolarmente intense per cui non meritano, secondo il nostro cervello, di essere ricordate. In questi casi, non significa che l’evento è stato rimosso, ma semplicemente non merita considerazioni. 
La dissociazione quindi, è un meccanismo di difesa mediante il quale alcuni elementi dei processi psichici (pensieri, memoria, senso d’identità) si separano dal resto del sistema psicologico della persona, per cui la mente, nei casi di stress, perde la capacità di integrare alcune funzioni superiori e di regolare le emozioni.
Alcuni studiosi hanno suddiviso i sintomi dei fenomeni dissociativi in Fenomeni di Distacco dal Sé e dalla realtà, attivati da emozioni dirompenti, provocate caratterizzati da Depersonalizzazione, Anestesia Emotiva, Dejavu, Esperienze Out of Body. 
Nella dissociazione rappresentazioni del Sé, che sono in conflitto tra loro, sono poste in settori separati della mente. È un disturbo connesso a esperienze (abusi, violenze sessuali, ecc.) che causano uno stato di coscienza alterato, un’incapacità a ricordare una parte del proprio passato, per fuggire da un trauma oppure per far coesistere due o più stati di personalità distinte o PARTI, ognuna delle quali è in grado di pensare, percepire e relazionarsi in modo diverso con se stessi e con l’ambiente che lo circonda. Quando una persona subisce un grave trauma, la sua personalità potrebbe disgregarsi e quindi perdere la sua unità, strutturandosi su due o più PARTI, in cui ogni singola PARTE si caratterizza con propri pensieri, percezioni, sentimenti, comportamenti e sensazioni fisiche. 
Le PARTI non sono differenti persone o personalità complete, ma una Singola Persona (anche se non sempre si percepisce tale), con differenti manifestazioni nel modo in cui la personalità è organizzata, cioè sono Stati Separati della Mente, funzioni della personalità che si organizzano a seguito di traumi. Inoltre non esercitano un controllo, ma influenzano la persona dall’interno creando conflitti terrorizzanti e dolorosi che comportano un enorme dispendio di energie. 
Le PARTI dissociate della personalità sono Manifestazioni di Modi che si basano su funzioni specifiche in cui una singola personalità si organizza a seguito di eventi traumatici che hanno avuto una particolare rilevanza per la persona o importante alterazione delle emozioni, alla cui base spesso vi è un Attaccamento Disorganizzato. 
Le PARTI non sono personalità distinte e complete ma differenti Aspetti del SE’, cioè modi in cui una singola personalità è organizzata, anche se spesso non sembra. Si basano su specifiche funzioni, caratterizzate da distinti tratti, anche se potrebbero condividere alcune somiglianze. 
La più importante è la Parte Principale della personalità (che è di dimensione maggiore), cioè quella che è sopravvissuta al trauma. Gestisce la vita quotidiana, l’evitamento dei ricordi traumatici e delle esperienze che possono evocare i ricordi traumatici. Generalmente evita di “incontrare” o riconoscere le “altre parti” che sono bloccate nelle esperienze traumatiche, anche se ne subisce l’influenza. Inoltre evita le PARTI che potrebbero essere a conoscenza della loro reciproca esistenza, che non sono in accordo su diverse questioni. 
Le ALTRE PARTI (quelle emozionali della personalità) sono poco razionali, con modeste capacità percettive e di pensiero. Sono molto emotive e bloccate nel Tempo del Trauma, cioè nelle esperienze traumatiche passate, per cui sono prevalentemente focalizzate sulla difesa dalle minacce, perché rappresentazioni di conflitti. Pensano e percepiscono come se gli eventi traumatici fossero ancora in corso o in procinto di verificarsi. Quando percepiscono una minaccia, ripetono le antiche fantasie o comportamenti protettivi, anche se non sono più adeguati nel momento presente. Ciò significa che continuano a vivere il passato traumatico come se fosse il presente e a mantenere emozioni, sensazioni, ecc., che sono collegate alle esperienze traumatiche. Spesso queste PARTI si percepiscono trascurate o abbandonate da quelle che cercano, con mille difficolta, di vivere il quotidiano. 
Hanno difficoltà a comprendere informazioni nuove e non riescono ad ampliare la loro prospettiva per assumere molteplici punti di vista, perché caratterizzate da un pensiero che riduce la realtà in due sole categorie contrapposte, in conflitto tra loro, che si escludono a vicenda, che offuscano la capacità di giudicare e di prendere decisioni perché deformano o cancellano gli elementi non-congruenti con la visione bianco/scura. Nel breve periodo questo tipo di pensiero è rassicurante, ma nel lungo termine dimostra i suoi limiti, perché riduce le capacità di scelta, cancella la possibilità di mediazione e sintesi, preclude soluzioni creative e infine si caratterizza perché pensiero egocentrico e infantile. 
Le PARTI danno un senso alla frammentazione, in cui ogni parte rappresenta una diversa modalità di autoprotezione, per cui non sono un deposito di ricordi o un modo per ricordare, ma una necessità per la sopravvivenza che consentono alla persona di essere attenta a percepire una minaccia o uno stimolo connesso al trauma, anche dopo molti anni dalla fine dell’evento traumatico. 
La maggioranza delle PARTE che funzionano nel quotidiano sono fobiche, rispetto a quelle che sono bloccate nel tempo del trauma e sono rappresentazioni di conflitti ed esperienze difficili da integrare. Il principale problema delle PARTI è che spesso non sono in accordo su ciò che è importante per la persona. Non a caso l’obiettivo prioritario della terapia è di insegnare alla persona dissociata a ESSERE NEL PRESENTE, ad accordare le PARTI tra loro, imparare a conoscerle e accettarle senza giudicarle, a comprendere il significato della loro funzione all’interno della persona. Alcune tra i principali tipi di PARTI sono: le Parti Ferite, le Parti Sofferenti, le Parti Difensive, le Parti che Aiutano, le Parti che Lottano, ecc. 
LE PARTI FERITE. Un bambino che ha subito un trauma, per sopravvivere e scollegarsi dalle sue emozioni e sofferenza, ha dovuto imparare a sopprimere e negare i propri sentimenti. Tuttavia, anche se dimenticato, quel bambino con le sue paure, insicurezze e il disperato bisogno di essere amato, continua a esistere dentro la persona traumatizzata ed è per questo motivo che generalmente sono anche denominate PARTE BAMBINO. Le Parti Ferite oltre a contenere i ricordi traumatici, le emozioni e le sensazioni dolorose di angoscia, hanno anche ricordi positivi ed esprimono in generale sentimenti di solitudine, desiderio, dipendenza, bisogno di consolazione e sicurezza, ma anche sfiducia e timore del rifiuto e dell’abbandono. E normale quindi che nelle persone abusate o trascurate vi siano anche altre PARTI del sé che trovano questi normali bisogni pericolosi, perché spesso nel loro passato hanno vissuto esperienze negative quando esprimevano desideri o bisogni. Per questi motivi alcune PARTI del sé rifiutano le PARTI BISOGNOSE, perché ritengono che sia preferibile non avere bisogni e quindi contare solo su se stessi. Da questa situazione nasce un conflitto interno tra le parti bisognose e quelle che provano repulsione per tali bisogni. 
Le parti dissociative che funzionano nella vita quotidiana vogliono avere a che fare il meno possibile con le parti dissociative bloccate nelle esperienze traumatiche. Le parti bloccate nel tempo del trauma si sentono spesso abbandonate e trascurate da quelle che cercano di tirare avanti senza di loro nella vita di tutti i giorni. Questi perduranti conflitti interni possono essere dolorosi e terrorizzanti e costano alla persona con disturbi dissociativi un enorme dispendio di energia. 
Il linguaggio delle PARTI costituisce un’efficace strategia per consentire alle persone di esternalizzare i loro problemi, al fine di poter cambiare il modo in cui si relazionano con essi. In questa visione si può immaginare che ogni PARTE rappresenta le memorie implicite usate per esternalizzare i comportamenti. Ciò significa che, invece di costruire narrazioni, consentono di realizzare un dialogo interiore, al fine di consentire alla persona di entrare in contatto con le proprie emozioni e sentimenti, rivelandone i conflitti. 
In generale le persone con i loro sintomi cercano di evitare di percepire determinate emozioni e sensazioni che sono fonti di sofferenza. Un importante obiettivo terapeutico è quindi cercare di incrementare la capacità di prendersi “cura di sé” e di ridurre la fobia verso le PARTI più emotive e dissociate, al fine di rendere il SÉ DELLA VITA NORMALE in grado di accettare e aiutare le PARTI più SOFFERENTI. 
Per comprendere come le PARTI SOFFERENTI riescano a emergere, occorre evidenziare che la persona traumatizzata, in modo inconsapevole, tenta di entrare in contatto con le sue difese, anche solo temporaneamente, al fine di attenuare la sofferenza. Ciò crea le premesse affinché una delle PARTI, in un qualsiasi istante, possa assumere il controllo, sovrapponendosi alla PARTE DELLA VITA NORMALE. Ciò avviene quando l’effetto di un trigger supera la soglia di tolleranza, per cui la persona è catturata da una delle sue PARTI SOFFERENTI, bloccata nel suo infinito ciclo di ripetizione e rievocazione dell’evento traumatico.
La principale emozione che alimenta la dissociazione è la VERGOGNA, perché alcune PARTI della personalità sono evitate e disprezzate perché custodiscono esperienze, sentimenti e comportamenti che altre PARTI della personalità hanno etichettato come disgustose. La vergogna e l’odio verso se stessi vengono potenziati dai significati che le vittime attribuiscono alle esperienze di paura e umiliazione, che nei casi estremi possono determinare un pervasivo senso d’inadeguatezza a vivere il presente, determinando così una barriera alla remissione completa dei sintomi. Infatti, la vergogna quando viene sperimentata, spesso è stata rinforzata da un atteggiamento critico e beffardo del Caregiver abusante o maltrattante, che con i suoi comportamenti ha rinforzato l’emozione d’inadeguatezza ed ha alimentato il comportamento di sottomissione. Nel tempo questa emozione si è trasformata in un’arma che l’aggressore usa per confermare il suo potere nel tempo. La vergogna può essere attivata direttamente da un ricordo traumatico (memoria implicita di paura del rifiuto o umiliazione) oppure come reazione a uno schema cognitivo suscitato da fallimenti che confermano le credenze disfunzionali su di sé. 
PARTI DIFENSIVE. Qualsiasi risorsa umana e quindi anche la Dissociazione, può essere usata per scopi difensivi. Generalmente le Parti Difensive, contro una presunta o reale minaccia, possono usare due diverse strategie: LOTTARE oppure IMITARE le persone che hanno procurato le ferite traumatiche. Quest'ultima identifica PARTI della personalità colme di RABBIA, che vengono vissute dalle altre PARTI come terrorizzanti, perché umiliano, minacciano o puniscono le altre parti oppure ridirigono la loro rabbia verso altre persone. In origine, queste PARTI si sono sviluppate per proteggere la persona traumatizzata dalle esperienze di rabbia, angoscia, impotenza, colpa e vergogna. 
Le PARTI CHE LOTTANO, invece ritengono di non essere state ferite, ma sono bloccate in una lotta difensiva contro una minaccia. Il loro fine è di proteggere la persona, per cui sono in grado di attivare reazioni molto aggressive nei confronti delle minacce percepite. 
In diversi sopravvissuti a traumi, si determina una forma di dipendenza, per cui inconsapevolmente ricercano ulteriori riattualizzazioni autodistruttive o scelgono partner abusanti. Durante e dopo un evento traumatizzante, la vittima tenta di attuare varie strategie di regolazione emozionale, come ad esempio la SOPPRESSIONE (si focalizza su qualcosa di diverso); la RIMOZIONE (cerca di dimenticare l’evento); il DECENTRAMENTO (si porta fuori da ciò che sta accadendo), ecc. Queste strategie cercano di alterare temporaneamente la coscienza al fine di rendere l’esperienza meno importante nell’immediato, è COME SE dicesse “lo stupro non sta accadendo”. Il distacco è una normale strategia di regolazione emozionale che consente di gestire lo stress quotidiano. Tuttavia il ripetuto ricorso a questa strategia potrebbe nel tempo accentuare il distacco e quindi renderla automatica. 
Una donna che viene abusata sessualmente in uno stato di coscienza vigile è consapevole che è lei a subire l’abuso, per cui è motivata a evitare il dolore e quindi attiva una regolazione emozionale, che si traduce ad esempio in un tentativo fisico di attacco-fuga. 
Una donna che ha subito da bambina, abusi o maltrattamenti, potrebbe aver ASSIMILATO quell’esperienza e a livello inconscio non attivare alcuna risorsa difensiva. Ciò si traduce in un blocco emozionale/fisico (freezing), nell’inconsapevole convinzione di meritarsi la violenza come punizione per aver accettato da bambina l’abuso (una bambina non è in grado di difendersi da un abuso) e che quindi avvenga per colpa sua. 
Le esperienze traumatiche costituiscono le fondamenta su cui, chi ha subito un trauma infantile, costruisce la sua personalità. Molte persone sono portatori di sofferenze, ma non riescono a collegare l’origine dei loro problemi, alle infantili esperienze traumatiche che si rivelano nell’adulto sotto forma di sintomi psicosomatici, che in molti casi non vengono neppure associati all’abuso subito. È fondamentale riuscire a comprendere la relazione che esiste tra la sofferenza attuale e quella infantile, per rielaborare il proprio passato, per dargli un senso e mettere ordine nei propri ricordi, per poter definitivamente archiviare l’esperienza traumatica. Purtroppo molte persone cercano inutilmente di dissociarsi da quell’esperienza, adottano difese di evitamento, cercano di non pensarci. L’effetto è che la mente, la maschera con l’autoinganno, la mostra in una forma che la rende irriconoscibile, ma la sofferenza non cambia, spesso s’intensifica. 
Uno dei motivi fondamentali è che i bambini maltrattati, abusati, ecc., non hanno ricevuto un adeguato supporto psicologico durante l’infanzia, per superare l’orrore associato al trauma vissuto e non hanno avuto la possibilità di comunicare la loro esperienza traumatica, per paura, vergogna, senso di colpa, solitudine. Raccontare le esperienze traumatiche del passato mediante il romanzo del trauma, ha un effetto benevolo sulla salute psicosomatica. Infatti, la scrittura consente di esplorare il significato emotivo degli eventi e comporta un’elaborazione cognitiva che consente di dare significato all’esperienza traumatica e di connettere i pensieri e le emozioni. L’esperienza può essere così inserita nella propria storia. 
Spesso, durante la narrazione del trauma si provano intense emozioni che coinvolgono anche il corpo, perché il corpo ascolta e risponde alla rievocazione, perché le esperienze traumatiche vengono memorizzate a livello di schemi corporei ed essendo sempre attive impediscono alla persona di ricordare. Il trauma viene così costantemente rivissuto sia a livello psichico, sia fisico, costringendo il corpo a essere in uno stato di continua attivazione. Ciò significa che l’elaborazione delle memorie traumatiche deve svolgersi con attenzione e procedere per piccoli passi, occorre entrare in contatto con la propria esperienza, contenendo le emozioni, al fine di evitare di intensificarle. 
Quando una persona riceve nuove informazioni che sono in contrasto con le sue convinzioni, potrebbe alterarle o distorcerle, per poterle assimilare nel suo preesistente schema mentale (ad esempio potrebbe colpevolizzarsi) oppure potrebbe ristrutturare il suo attuale schema mentale, al fine di rendere accettabile le nuove informazioni.

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