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Neurobiologia della Depressione
di Antonio Sammartino    19/04/2021

Il cervello di una persona depressa non è un cervello malato. Le neuroimmagini evidenziano differenze, ma non discriminano un cervello sano da uno malato, semplicemente indicano che i due cervelli sono diversi.

La maggior parte delle teorie biologiche si sono concentrate sui neurotrasmettitori monoamine come la serotonina, la norepinefrina e la dopamina, in quanto facilitano la comunicazione tra le cellule nervose. 

All’inizio degli anni 50 alcuni ricercatori scoprirono che le monoamine MOA (Serotonina, Noradrenalina e Dopamina) svolgevano un ruolo di primo piano nella modulazione neurobiologica dei sintomi depressivi. Questa scoperta motivò le industrie farmaceutiche, ad iniziare lo sviluppo di molecole in grado di aumentare i livelli di monoamine nelle sinapsi dei soggetti depressi. Successivamente fu rilevato che alcune molecole potevano agire sul trasportatore della serotonina, mantenendo gli stessi meccanismi di azione nell’incrementare la trasmissione delle monoamine. 
L’ipotesi monoaminergica essenzialmente si basa sull’associazione tra la comparsa della sintomatologia depressiva e la compromissione della funzione monoaminergica centrale. Infatti, la depressione si caratterizza per le alterazioni del tono dell’umore e di altri aspetti emozionali (deficit motivazionale, anedonia, ansia); da disturbi della sfera ideativa e della cognitività; da modificazioni del quadro psicomotorio; da distorsioni delle sensazioni corporee e della percezione del dolore; da espressioni di ridotta vitalità; da perturbazioni neurovegetative e dei ritmi circadiani. 
Si ritiene che la depressione sia dovuta alla carenza di questi neurotrasmettitori, per cui sono stati realizzati farmaci che aumentano la disponibilità di serotonina (SSRI), farmaci che aumentano la disponibilità di noradrenalina e dopamina (NDRI) ed altri che aumenta la disponibilità di noradrenalina e serotonina (IMAO). 
Gli antidepressivi esercitano il loro effetto terapeutico, aumentando la concentrazione di questi neurotrasmettitori (attraverso il blocco del sito di ricaptazione neuronale o della metabolizzazione) oppure sostituendosi ad essi nel legame col recettore. 
La Tianeptina è ritenuto un efficace antidepressivo, con notevole tolleranza clinica, che contraddice le tradizionali ipotesi monoaminergiche della depressione, in quanto diminuisce i livelli di serotonina nel cervello e quindi dovrebbe indurre la depressione, ma in realtà ciò non si verifica. 
Il meccanismo d'azione antidepressivo della Tianeptina è dovuto al coinvolgimento del glutammato, che svolge una importante funzione nel meccanismo della neuroplasticità alterata, che è alla base dei sintomi della depressione. 
Le teorie contemporanee suggeriscono che i disordini depressivi, oltre ad essere associati a un’alterazione dei neurotrasmettitori e neuromodulatori, sono anche indotti da una compromissione della neuroplasticità e della resilienza cellulare. Con il termine neuroplasticità si intende la capacità del cervello di adattarsi funzionalmente e strutturalmente a stimoli interni ed esterni. Le principali aree cerebrali in cui sono presenti processi neuroplastici comprendono l'ippocampo, l'amigdala e la corteccia prefrontale. Queste aree influenzano le emozioni, le percezioni, la memoria e le funzioni cognitive. 
Le alterazioni in queste aree sono presenti anche nei cambiamenti strutturali della depressione, che il soggetto subisce. Infatti la depressione è un disturbo del tono dell’umore, una funzione importante, il cui fine è di adattare il mondo interno e quello esterno della persona. 
Per quanto riguarda la resilienza cellulare, nei soggetti depressi, è stato rilevato una disfunzione dei mitocondri, che causa una alterazione di alcuni processi importanti della cellula. I mitocondri sono la fonte di energia e di ossigeno delle cellule di tutto l’organismo, in modo particolare delle cellule cerebrali, che ne regolano la funzione attraverso lo stress ossidativo (insieme delle alterazioni che si producono nei tessuti, nelle cellule e nelle macromolecole biologiche) e l’apoptosi (morte cellulare programmata). 
La variabilità dei sintomi depressivi oltre ad essere una risposta individuale, dipende anche dall’associazione con altri disturbi. Il più diffuso è l’ansia, che può causare ad esempio insonnia, agitazione motoria, diarrea, dolori fisici, ecc. Le cause biologiche invece sono dovute ad un’alterazione del livello di alcuni neurotrasmettitori, mentre tra le cause psicologiche e sociali vi sono lutti, conflitti relazionali, malattie, cambiamenti di vita o di luoghi, ecc. Infine possono esserci cause genetiche come ad esempio la familiarità. In quest’ultimo caso non viene ereditata la patologia, ma una predisposizione a manifestare il disturbo. 
La ricerca epigenetica ha rilevato che esiste una relazione diretta tra il livello di metilazione del promotore del gene 5-HTTLPR e la depressione (un promotore è una regione di DNA costituita da specifiche sequenze dette consenso, alla quale si lega la RNA polimerasi per iniziare la trascrizione di uno o più geni). Più il gene è metilato, maggiore è la depressione. Ciò dimostra che la genetica non influisce sulla depressione, ciò che invece assume un rilievo sono gli eventi della vita, in grado di segnare epigeneticamente il gene. 
Secondo la Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, la monoterapia farmacologica della depressione è inadeguata. Occorre proporre un trattamento integrato tra i diversi aspetti. L’asse della cura dovrebbe fondarsi sulla gestione psicologica e dello stress con un uso circoscritto dei farmaci, sostituiti con approcci meno invasivi. 
Nella cura della depressione è importante indurre piccoli cambiamenti nella vita della persona, al fine di rendere possibili modifiche delle attività in diverse aree del cervello e in alcuni neurotrasmettitori, al fine di indurre cambiamenti positivi a livello neuronale, che possono tradursi in una migliore qualità della vita. Da un punto di vista neuropsicologico la depressione è causata dall’alterazione delle funzionalità dell’area prefrontale, della corteccia cingolata anteriore, del sistema limbico (collegato all’affettività e alle emozioni) e dall’azione dei neurotrasmettitori che sono necessari per il corretto funzionamento di diversi circuiti all’interno del cervello. 
Purtroppo, la depressione non è causata dai soli bassi livelli di noradrenalina, serotonina o dopamina, ma dall’alterazione di un numero maggiore di neurotrasmettitori, quindi il problema non si risolve semplicemente aumentando il loro livello. Infatti, i principali neurotrasmettitori, responsabili della depressione, sono la Serotonina che influisce sulla forza di volontà, la motivazione e l’umore; la Noradrenalina, che aumenta la concentrazione e la capacità di far fronte agli stress; la Dopamina che incrementa il piacere ed è necessaria per il cambiamento delle cattive abitudini; l’Ossitocina che promuove i sentimenti di fiducia, amore e connessione; il GABA che innalza il livello di rilassamento e riduce l’ansia; la Melatonina che migliora la qualità del sonno; le Endorfine che favoriscono il sollievo dal dolore e sentimenti di gioia; gli Endocannabinoidi (sistema biologico di comunicazione tra le cellule) che migliorano l’appetito e incrementano sentimenti di serenità e benessere. 
Per quanto riguarda le aree neuronali, nei soggetti depressi, la corteccia prefrontale che regola l’emotività e l’impulsività innescate dal sistema limbico, non funziona in modo corretto, mentre la parte Orbitofrontale laterale viene esclusa dal meccanismo delle gratificazioni, determinando quel senso di perdita e di delusione percepita dal soggetto depresso. Questa area essendo anche coinvolta nell’elaborazione della percezione di sé stessi, genera il senso di perdita personale e scarsa autostima. Inoltre, nelle persone con depressione cronica è stato rilevato un numero inferiore di cellule gliali nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale e quindi una densità inferiore di astrociti che producono una proteina chiamata GFAP (proteina fibrillare acida della glia), utilizzata come marker degli astrociti. 
La corteccia del giro cingolato anteriore dorsale è ipoattiva, mentre quella rostrale è iperattiva. Questa condizione è causata dalla gestione dello stato affettivo che il soggetto depresso pone in essere, in risposta alle richieste dal contesto ambientale. Il giro cingolato anteriore stimola a sua volta, il lobo frontale a intervenire sull’ulteriore elaborazione del processo emotivo, ma a causa dell’ipoattività, lo stato emotivo non è risolvibile, per cui permane l’umore depresso. 
Nei soggetti depressi si determina anche una disfunzione dell’ippocampo nell’elaborazione di risposte affettive, che risultano essere spesso inadeguate rispetto al contesto ambientale. In particolare, non funziona bene la comunicazione e l’interazione tra sistema limbico e la corteccia prefrontale, quest’ultima non riesce più a regolare l’emotività e l’impulsività innescate dal sistema limbico. Inoltre, la riduzione di connettività nelle aree coinvolte nei meccanismi di formazione e rievocazione della memoria, quali il lobo temporale mediale e il giro para-ippocampale, non consente il normale svolgimento delle funzioni. Ciò si traduce in una ridotta capacità di concentrarsi sui ricordi felici, per cui la persona riesce a focalizzarsi solo su quelli tristi, tipici della depressione. Inoltre, l’eccessiva stimolazione dell’amigdala, che è alla base dell’apprendimento e della rievocazione dei ricordi a contenuto emozionale, innesca nei soggetti depressi, il continuo ruminare.

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