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Library: Romanzi e Poesie

Incontro
di Antonio Sammartino   

Una fiaba racconta, che prima di nascere una piccola parte del nostro cuore viene spezzato in mille frammenti e seminati nel cuore di altri… è difficile scovarli, ma quando troviamo chi ha uno dei nostri frammenti, allora ritroviamo quella parte di noi che da sempre ci manca.

Non è sufficiente una vita per cercare di riempire il vuoto che hai lasciato. Quando una storia naufraga, lascia dentro un oceano di ricordi, sensazioni ed emozioni che inevitabilmente ti cambiano e spesso ti tengono a distanza da nuove relazioni, per consentire alla mente di consolidare i ricordi di quella che è stata una travolgente passione d’irrefrenabili desideri, più importanti dell’aria che si respira e che impone di rivivere ogni attimo di quei giorni, senza volerne perdere neppure un istante. Gli attimi che abbiamo vissuto insieme, sono d’inestimabile valore.

Nuove esperienze, nuove storie e delusioni, ti obbligano a scelte che gradualmente ti cambiano, attenuando o offuscando tutto ciò che un tempo si era. Oggi, dopo molti anni, sfogliando i ricordi di quei giorni lontani, per la prima volta, con stupore, tristezza e rabbia, ho capito che in realtà non ci siamo mai persi, anche se non abbiamo condiviso il tempo che il destino voleva donarci.
Addio, fu triste scrivere questa semplice parola in un messaggio che mai ti ho consegnato, prima di rinchiudermi prigioniero nei miei pensieri privi di ricordi, perché fu l’inizio di un distacco che non avrei mai voluto che fosse. Anche se non ricordavo, pensavo, che strano dire addio a un amore che era riuscito a devastare i miei sentimenti e alimentare quello smisurato desiderio che aveva invaso la mente e si era impossessato del corpo. Che bizzarra idea fu di donare all’ignoto un amore, scrigno di emozioni tenere e dolci, che consentivano di esprimere le tempeste della interiorità, un afrodisiaco elisir di inebriante sensualità. Anche se l’amore è fragile e non dura mai in eterno, tu sei stata e sarai sempre l’essenza di una tenera e travolgente passione, un romantico gioco di seduzione, un sublime modo di concedersi all’altro, diverso da quell’abbandonare il proprio corpo all’illusorio e fugace rapporto di carne, che non potrà mai offrire il piacere di quel dono che consente di esprimere le tempeste della propria interiorità. Che strana ed insolita sensazione riesci ancora oggi a trasmettere, quando ripercorro quell’antico nobile sentiero che chiamiamo la VIA DELL’AMORE.
Ricordo, era l’ultima speranza di un’inutile giornata. Era uno di quei giorni come tanti, trascorsi nella quieta solitudine, tra pensieri spenti da frammenti di ricordi senza tempo e di cose che non avevo voglia di fare, chiuso ormai in un piccolo mondo di sogni e speranze, paure e incertezze, stanco e deluso di quel fato che voleva entrarci con un unico scopo. Ricordo quello che credevo fosse il nostro primo insolito, bizzarro e imprevedibile incontro.
Ero assorto nella lettura di banali notizie, seduto davanti a quel bar raggiunto per caso, durante una breve e improvvisa vacanza, quando un profumo inebriante e il soave suono di una voce hanno rapito i miei pensieri. Sentivo, ma non potevo vedere, cercavo con indifferenza di distrarmi, ma fui stranamente catturato dal dondolio di un piede.
Non era mai accaduto di sentirmi così violentemente attratto da un banale piede di donna, anche se avvolto in eleganti sandali, di delicato colore, con vertiginosi tacchi a spillo, realizzati per mostrare ciò che non poteva essere nascosto, la perfezione di quei piedi stupendi, puliti, curati, morbidi, profumati, con unghie perfette, corte quanto basta, per seguire la forma arrotondata delle dita, prive di pellicine e ricoperte interamente di un velo di smalto rosso. Poche gocce di pioggia di un incauto e breve temporale estivo creavano riflessi lucenti. Tutto, mi appariva l’essenzialità di un’immagine di raffinata seduzione, spregiudicata e trasgressiva, un’esaltazione che nasceva non da un bisogno feticistico, ma da un desiderio di adorazione privo di limiti morali. Un inebriante profumo, distillato di emozioni, che esprimeva luminosità, freschezza e sensualità, in grado di liberare vitalità e seduzione, che accendevano i sensi, donava sicurezza e quell’inebriante essenza dell’essere femminile che ipnotizza e riflette una dolce tenerezza.
La mia immaginazione inebriata non sapeva dove andare, vagava in cerca di un qualcosa, per evitare di soccombere alla realtà di quell’insolita sensazione che si annunciava dolce e furibonda, tenera e tormentata, un vibrante e chiaro desiderio di quella sconosciuta ai miei ricordi. Lo sguardo era fisso, disperatamente cercava spazio, per vedere ciò che un incauto, crudele, insignificante e buffo personaggio, con insolita ostinazione, cercava di nascondermi.
Spinto dal turbinio di pensieri prodotti da quell’incauto e furibondo desiderio di scoprire chi fosse quel dono del destino che aveva ormai scatenato le mie incontenibili emozioni, che aveva catturato ogni mio più piccolo pensiero, quel maldestro ostacolo finalmente si sposta leggermente quanto basta, per mostrarmi… splendide gambe lisce come la seta, si erano stupende, lunghe, perfette, una forma unica priva di qualsiasi imperfezione, tale da liberarla dal bisogno di indossare calze alla moda, per donare splendore alle gambe, un effetto magico in grado di creare una immaginaria e fantastica visione di tutto quello che non si riusciva a vedere con gli occhi, ma che appariva in un insolito splendore, sinonimo di incredibile e vertiginosa raffinatezza.
Una diabolica serie di pose che inconsapevolmente assumeva, esaltavano le sue perfette gambe, innescando una graduale scoperta che nasceva dalla visione di piccoli dettagli, in grado di bloccare l’attenzione, ma che impedivano il perdersi, nello scoprire il tutto di quella magica visione, fatta di sogni ad occhi aperti.
Una minigonna cortissima blu lasciava completamente scoperte quelle lunghe, sode e meravigliose cosce, gli occhi seguivano quel percorso che porta su, fino al limite dove l’accorto pudore blocca gli sguardi, per accendere l’immaginazione che alimenta i sogni di un naufrago smarrito nel delirio dei sensi.
Il muoversi scomposto di quell’idiota guidato da una mente raffinata, mi consentiva alternativamente di vedere la parte superiore del suo corpo, che inesorabilmente bloccava gli occhi su una leggera e quasi trasparente camicetta bianca, dipinta con alcuni delicati fiorellini, con malizia lasciata aperta, forse per poter consentire ad occhi indiscreti, di intravedere seni alti e pieni, tondi e duri, ma lasciati liberi di godere delle dolci carezze di quel caldo sole d’estate.
Tutto il vestire era provocante, anche se appariva di una infantile ingenuità, priva di qualsiasi volgare malizia. Fantastici erano ai miei occhi quei due capezzoli turgidi e gonfi che segnavano con grazia la camicetta, con l’intento di farsi con pudore ammirare. Li immaginavo sensibili, di color rosa, armonici e ben fatti, non grandi ma neppure troppo piccoli perché perfetti e in grado di creare quel sottile turbamento che faceva sognare ed immaginare il dolce movimento delle mani, sui graziosi seni.
Cercavo disperatamente di insinuare il mio sguardo per continuare la scoperta di ulteriori elementi in grado di domare lo smisurato desiderio di scoprire, di conoscere ciò che era ignoto alla memoria, ma non alle travolgenti sensazioni che scatenava.
Che strana sensazione era riuscita a creare il destino con quell’insolito e imprevedibile incontro, fatto di sguardi rubati per seguire ogni piccolo movimento, necessario per nutrire il bisogno di vivere intense sensazioni.
Ero soggiogato e confuso, Lei ormai era dentro di me, ero totalmente posseduto dal desiderio di guardare quel volto che non mi era stato ancora concesso di vedere. Mi sentivo atterrito, smarrito in quello spazio che annulla il tempo, per donare vibranti e dolci fantasie. Era quella sua essenzialità un inno, sinonimo di raffinatezza, che aveva catturato la mia attenzione, dosandola con lo sguardo su piccoli dettagli con l’insolita voglia di scoprirla lentamente, di distribuire nel tempo quel incontenibile sogno ad occhi aperti.
Ad un tratto le innumerevoli maledizioni spinsero finalmente quell’incauto a salutare e andare via. Un fulmine accese il mio stupore, incredulo guardavo ciò che mai avrei potuto immaginare di ammirare in quello che all’inizio appariva essere uno dei giorni più funesto, ma che il destino, almeno per una volta nella mia esistenza priva di passato, aveva voluto regalarmi una impensabile emozione: il suo volto, disegno stupendo, profilo di rara bellezza, un enigmatico sguardo di intensa passione mai ambiguo, una indefinibile espressione fra l’essere e il possibile, in grado di creare leggere vibrazioni di sublime dolcezza, un volto che mi appariva essere quell’essenza dell’arte che rompe il tempo per creare… un’immagine eterna.
Ero soggiogato fino alla perdizione, ormai perso nell’ineguagliabile perfezione dei suoi tratti. Non era quella bellezza pura ed angelica, ma il suo sguardo una meraviglia, i suoi occhi grandi e penetranti, il suo sorriso affascinante, le labbra umide, turgide e sensuali. Capelli lunghi, mossi, sciolti, luccicavano sotto i riflessi del sole. Mi guardava con aria di sfida diritto negli occhi, per poi accennare ad un breve sorriso per placare l’ansia del mio disagio. Era l’immagine della seduzione, la vicinanza di una di quelle rare bellezze che la natura si diverte a creare per turbare i sogni ed accendere l’incontenibile desiderio dei suoi proibiti frutti.
Poi un chiaro brusio, una serie di saluti, si alza e si incammina. Finalmente riuscii ad ammirare, con stupore e meraviglia, la sua esile vite, i glutei un capolavoro di scultura, piccoli tondi e muscolosi. Le sue gambe lunghe e perfette, una pelle liscia e lucente, la gonna stretta che indossava esaltava le sue poderose curve e mentre il lento scorrere del tempo la portava via, iniziai a percepire un freddo che neppure il sole di quella afosa giornata riusciva ad annullare, erano brividi scuotenti, una febbre indomabile, poi più nulla e quando riaprii gli occhi mi ritrovai disteso su un letto, in una camera bianca con un modesto arredo, spoglia, un fastidioso rumore di parole che non riuscivo a comprendere, è l’effetto della febbre pensai, non era mai accaduto di ricordare un sogno così colmo di dettagli ed emozioni, sentimenti e passioni. Provai a rinchiudere gli occhi nella speranza che quella dolce fiaba potesse riprendere dal punto in cui si era interrotta e invece nulla, solo pensieri sconclusionati e senza senso, simili a quelli che può avere, chi ha smarrito da sempre il senno e la ragione. Forse volevo convincermi di non essere in grado di sognare, nell’illusione di credere ciò che ormai mi appariva non essere.

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